La tecnologia è più vicina di quanto sembri: il programma "Autonomous Systems and Operations" della NASA ha già dimostrato come gli strumenti dotati di AI possano gestire veicoli spaziali, assistere gli equipaggi e consentire operazioni autonome in caso di ritardi nelle comunicazioni. L'uso di astronauti robot è vantaggioso perché ridurrebbe i costi delle missioni e risparmierebbe agli equipaggi umani molti dei rischi dei viaggi nello spazio profondo. Tuttavia, solleva anche dilemmi filosofici sul ruolo degli esseri umani nell'esplorazione.
Pascal Lee, scienziato planetario del SETI Institute e del Mars Institute, suggerisce che gli "astronauti super artificiali" potrebbero offrire il percorso più pratico per stabilire una prima presenza su Marte. Questi esploratori robotici, potenziati con IA avanzata, sarebbero diversi dai rover tradizionali e potrebbero agire autonomamente, prendendo decisioni in tempo reale nonostante i ritardi nelle comunicazioni, sopportando l'ambiente marziano ostile . Lee sottolinea che non si tratta di sostituire gli esseri umani, ma di riconoscere che la colonizzazione di Marte sarà uno sforzo secolare in cui le macchine serviranno sia come pionieri che come custodi di quel sogno.
La NASA sta già integrando l'intelligenza delle macchine nella pianificazione delle missioni, con programmi come la piattaforma umanoide Valkyrie e assistenti AI come Astrobee a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Questo cambio di prospettiva sfida le vecchie convinzioni sull'esplorazione spaziale, dove l'immagine di un astronauta umano che pianta una bandiera su suolo alieno ha simboleggiato il progresso. Lee vede gli esploratori androidi non come sostituti, ma come "discendenti" tecnologici creati dall'umanità per avventurarsi dove noi non possiamo andare in sicurezza. Il loro successo rifletterebbe la nostra ingegnosità e la loro presenza su un mondo alieno manterrebbe vivo il sogno dell'arrivo umano.
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